Marco Camera

olio su carta da pacco intelata

è nato a Milano nel 1953 e nel 1984 ha conseguito il diploma di pittura alla Nuova Accademia di Belle Arti. 

Tadini, Veronesi, Ballo, Colombo, Del Pezzo, Valentini e Faini sono stati suoi maestri.

“Credo che la pittura metafisica sia un punto di riferimento importante per il mio lavoro. Non parlo della pittura metafisica come tipo di figurazione, come insieme di immagini, mi riferisco piuttosto ad una certa «aria», a una certa atmosfera che sono proprie della pittura metafisica. Un’aria, un’atmosfera in cui le cose sembrano spaesate – ma in cui è anche come se le cose, fuori dei rapporti consueti e per noi oramai quasi privi di senso, possono collocarsi al loro posto, al loro posto giusto nel costrutto delle cose che ci emozionano. Così certe facciate, certe strutture architettoniche vorrei che entrassero nei miei lavori come visioni improvvise che è insieme inesistente ma del tutto presente, visibile nella pittura, attraverso la pittura.

Ma la pittura metafisica non è il mio solo punto di riferimento. In modo forse addirittura contraddittorio (ma spero che le contraddizioni si risolvano nelle immagini) mi sembra di servirmi di una certa pittura rapida, di gesto, di segno. Forse vorrei che la struttura stabile delle immagini fosse il risultato finale di una ricerca, anche oscura, condotta attraverso l’instabilità e lo squilibrio di certi segni tracciati forse in modo casuale e non preordinato sulla tela o sul foglio. Come se quei segni improvvisi, quelle tracce di colore buttate giù in fretta, potessero loro soltanto indicarmi la strada che conduce alla chiarezza di una forma.

Poi ci sono i ritratti, vorrei cogliere certe espressioni inquiete, ma inquiete nel profondo, senza eccessi di «recitazione». Certi sguardi in cui si nasconde qualcosa come una domanda.”

Marco Camera

acrilico su tela

 

Il futurismo cercava di figurare lo spazio nella dinamica delle forme – nella simultaneità di un tempo in cui la successione degli istanti era fortemente accelerata. La metafisica sembrava affidare allo spazio il compito di custodire visibilmente il senso del tempo – immobilizzando il tempo nelle dimensioni dello spazio. Di queste due lezioni, così diverse tra loro, Camera ha saputo servirsi con intelligenza e, insieme, con naturalezza.

In un quadro di Camera lo spazio non è mai rappresentato come una specie di contenitore delle cose. Lo spazio è piuttosto ciò che si rappresenta nelle cose – nella forma stessa delle cose. E viene da dire che questi quadri rappresentano soprattutto lo spazio. E’ lo spazio che sostiene con la sua energia queste cose simili ad architetture. E, allo stesso tempo, le tensioni di queste architetture sembrano proprio la figura, la figura concreta di quella specie di Grande Invisibile – di assolutamente non figurabile in se stesso – che è lo spazio. E’ un po’ come dire che è una bandiera, o un albero, a farci vedere la forma del vento.

Emilio Tadini

Marco Camera è pittore: dipinge delle tele che qualcuno vorrebbe intelaiare, per farne dei quadri, ma forse a Marco questo non interessa già più. Non che non gli interessi quello che ha fatto, ma di sicuro è il fare che lo anima, è l’urgenza di mettere sulla tela dei pensieri imprecisi, così i titoli (se proprio deve metterli) li trova sempre “dopo”, perchè – dice Marco – “non ho mai un’idea precisa quando inizio a dipingere”. Ha però bene in mente quali sono i suoi punti di riferimento: la pittura metafisica, innanzitutto, non come tipo di figurazione certo, ma per la sua atmosfera; e il futurismo – come ha fatto osservare Tadini – per quanto concerne la rappresentazione dello spazio. Perchè la gestione dello spazio è il tema attorno a cui Marco Camera indaga da vent’anni a questa parte, uno spazio che si è fatto ciclicamente più rarefatto, anche se riemergono a volte forme quasi organiche – che a me piace Sutherland. Ma lo spazio è anche rappresentato, perchè un tema ricorrente è quello della città, dello spazio edificato nella sua globalità o nei suoi particolari, come una finestra, da cui si osserva il proliferare della metropoli – con i suoi abusi edilizi, e che pone a confronto con strutture più semplici, come le palafitte, che riportano anche a un mondo pià essenziale.

Dipinge sulla tela Marco Camera, con i colori acrilici che sembrano dati da una bomboletta sul muro, leggeri come una nuvola.

Giovanni Bai

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